lunedì 28 gennaio 2013

Storia di un potenziale autoimmolatore

Il presente post tratta una serie di articoli del sito tibet.cn, riportati in questi giorni da CCTV e riguardanti una testimonianza sul fenomeno delle autoimmolazioni di giovani monaci in Tibet.


 Storia di un potenziale autoimmolatore
Zhang Hao

Nota: Un comune giovane tibetano, un giovane lama praticante il buddismo, che si è quasi dato fuoco, è stato abbandonato dai suoi istigatori. Che ruolo gioca il "governo tibetano in esilio" in questa causa? Che bugie e che verità sono nascoste dietro le fiamme? Oggi, Cina Tibet Online pubblicherà la storia di un giovane buddista, un potenziale autoimmolatore.

Sono stato costretto dal "governo tibetano in esilio"
Nell'occasione del cinquantesimo anniversario della pacifica liberazione del Tibet nel maggio del 2001, fu riportato dai media un tentativo di autoimmolazione messo in atto da Gyatso e incitato dalla cricca del Dalai Lama.

Mettendo in atto le istruzioni del Dalai Lama e dei suoi seguaci, fu ordinato al giovane di darsi fuoco nella piazza del tempio di Jokhang a Lhasa mentre Thubten, il suo "assistente" doveva fotografare la scena e mandare la registrazione ai media stranieri.

Ma, a causa di una fuga di notizie, Gyatso e Thubten furono catturati e incarcerati dalla polizia, sancendo il fallimento dell'autoimmolazione.

Gyatso è un "eroico combattente per l'indipendenza" o soltanto uno strumento politico nelle mani del Dalai Lama? Che ruolo ha Gyatso nell'imprevedibile macchinazione?

Dobbiamo rilevare che, una volta che l'episodio dell'autoimmolazione è venuto alla luce, il governo tibetano in esilio, istigatore della vicenda, ha immediatamente pubblicato un articolo del suo "portavoce" sul suo sito ufficiale chiarendo la "verità". Ha immediatamente negato di aver incitato persone ad autoimmolarsi e ha indicato che questa pratica è contraria alla disciplina buddista.

Quando questa dichiarazione è stata rilasciata sul sito, Gyatso non ha potuto credere che, il "Dusum Legong" (o il dipartimento per la sicurezza del "governo tibetano in esilio") che lo ha condotto passo dopo passo nel campo dell'autoimmolazione, lo avesse abbandonato.

"Sono dispiaciuto che mi abbiano abbandonato. Non possono negare. Come possono dire che non avevano niente a che fare con me?" ha detto Gyatso con rabbia, sottolinendo di voler raccontare la sua storia per informare la gente.

Non si torna indietro
Nato nella provincia del Qinghai nel nordovest della Cina, Gyatso, il cui nome laico è Rigzin, non pensò mai di intraprendere un sentiero senza ritorno quando lasciò la casa all'età di 19 anni e diventò un monaco nel monastero di Tsangar, nella circoscrizione di Tongde, nella prefettura autonoma tibetana di Hainan della provincia di Qinghai. Da allora, ha sempre sognato di essere un monaco colto e rispettabile, grazie al duro lavoro.

I dodici anni passati nel monastero di Tsangar sono stati gli anni più felici della vita di Gyatso. Imparando dai maestri, chiaccherando con i suoi amici monaci e occasionalmente andando a casa a trovare la sua famiglia. Gyatso non aveva problemi a quei tempi.

La quieta vita nel monastero di Tsangar lo tagliò fuori dalla noia del mondo esterno. A quei tempi la sua idea e il suo obiettivo erano imparare bene le scritture e migliorare in modo ulteriore la sua conoscenza. Amava la vita lì e considerava il monastero come la sua casa.

Ma la vita cambiò immediatamente quando Gyatso ricevette lettere dai suoi concittadini o amici monaci che erano stati in India. In queste lettere si vantavano sempre di che vita stupenda stavano vivendo in India, la più importante di queste diceva che laggiù "potevano imparare molte cose ed aumentare il grado di conoscenza".

Con il sogno di diventare un "monaco colto e rispettabile", Gyatso andò finalmente nel cosiddetto "Grande Mondo"-Dharamshala, una piccola stazione collinare nell'Himachal Pradesh in India, dove si trovava anche il quartier generale del "governo tibetano in esilio".

Avendo sempre sognato di andare all'estero per migliorare ulteriormente gli studi e immergersi nella compassione buddista, Gyatso non avrebbe mai potuto pensare che non avrebbe imparato niente riguardo la vera essenza del buddismo ma che avrebbe invece rischiato di perdere la propria vita.

Dharamshala non è una perfetta Arcadia ma un abisso, dove le sacre scritture erano rimpiazzate dai "lavori" del Dalai Lama a sostegno dell'"indipendenza del tibet" e finzioni cinematografiche incitanti all'autoimmolazione sostituivano le predicazioni buddiste. Come molti giovani monaci che andarono laggiù, Gyatso perse gradualmente se stesso attraverso il forte impatto della propaganda e del lavaggio del cervello.

A Dharamshala, prese parte per tre volte a scioperi della fame volte incitando al "governo tibetano in esilio", la terza volta gli fu affidato un compito importante. "L'eroe raro" doveva "fare qualcosa di grande".

Il "governo tibetano in esilio" elaborò i progetti di autoimmolazione per Gyatso, ma i primi due tentativi fallirono a causa delle rigide precauzioni della polizia indiana e di una visita di leader statunitensi.

Gyatso era determinato a portare a termine la "grande causa" e non voleva essere ridicolizzato per il suo fallimento. Finalmente, ebbe un'altra possibilità. Fu mandato a Lhasa a commettere l'autoimmolazione nella piazza del tempio di Jokhang per la "causa indipendentista".

Dalla prima volta dove acquisì la "passione" per le autoimmolazioni, alla seconda volta dove si sentì ingannato, alla terza dove torno in Tibet per autoimmolarsi, Gyatso intraprese, senza possibilità di scegliere, un percorso senza ritorno.

Ancora oggi, l'autoimmolazione nella piazza del tempio di Jokhang a Lhasa per Gyatso il potenziale suicida, è l'ultima cosa di cui vorrebbe parlare.

"Ogni volta che penso alla scena dell'autoimmolazione, sento sempre il mio cuore bruciare, come anche il mio corpo avvolto dalle fiamme con eccezione della mia testa. Provo uno sforzo doloroso e non posso ne vivere ne morire" ha detto Gyatso.

La storia del giovane lama che una volta sognava di "sacrificare se stesso alla religione", lascia solo dubbi, shock e profonda commozione nella mente delle persone.

Come studioso a tempo pieno delle sacre scritture buddiste, un giovane pieno di speranza venuto da un remoto villaggio e figlio di un onesto mandriano, Gyatso non si perse mai in cose triviali, e provò sempre a volare via dalla sua città per raggiungere una grande causa e diventare importante.

Questa è la vera riflessione di Gyatso prima che il suo fato cambiasse repentinamente.

Ma a Dharamsala, dov'era anche il quartier generale del "governo tibetano in esilio", Gyatso, il giovane uomo con un cuore puro fu in trappola. Era perso nella falsa aura creata dalla cricca del Dalai Lama, e dette se stesso per un'illusoria "medaglia da combattente indipentente".

Così, Gyatso fu coinvolto nel mulinello politico, forzato da animi contorti ad uno stato di ignoranza. Fu trasformato in un estremista che sceglie il suicidio come più grande gioia.

Comunque, il giovane non sapeva di essere già stato abbandonato e buttato fuori dal tavolo della cricca del Dalai Lama.

In un'intervista, Gyatso disse che c'erano e ci sarebbero stati molti altri giovani impulsivi come lui che avrebbero potuto seguire il percorso dell'autoimmolazione se la cricca del Dalai Lama avesse continuato ancora a propagandare "l'indipendenza tibetana" attraverso tutti i tipi di mezzi di propaganda.

Sfortunatamente, quello che Gyatso aveva annunciato si è avverato oggi. Uno dopo l'altro, giovani si sono dati fuoco e hanno perso la loro vita sotto l'istigazione della cricca del Dalai Lama.
 
Confuso dal mentire
Una figura magra, pelle scura, i tratti del viso regolari con sopracciglia prominenti, Gyatso è l'immagine di un ordinario nomade che vive nel Tibet settentrionale. E' difficile collegarlo ad un autoimmolatore.
 
Nato in una famiglia di mandriani nella provincia di Qinghai, Gyatso, il cui nome laico è Rizgin inizia la sua vita da monaco all'età di 19 anni nel monastero di Tsangar, nella prefettura della regione autonoma tibetana di Hainan.

Rispettando Budda fin dall'infanzia, Gyatso è sempre stato interessato allo "Tsema" del buddismo così come è stato disposto ad impararlo. Dopo aver sentito che in India un numero maggiore di monaci facevano ricerca sullo "Tsema" rispetto alla Cina, Gyatso decise di andarsene a Dharamsala ignorando l'opposizione della famiglia.

Cresciuto nell'isolata città natale, Gyatso non sapeva quali formalità erano necessarie per andare all'estero e, dunque, pagò per essere "aiutato".

Così, dopo aver pagato la tassa, Gyatso fu messo in una casa vicino al monastero Sera di Lhasa insieme a decine di uomini che volevano andare all'estero attraverso Laben, l'uomo che li fece entrare clandestinamente in India nel gennaio del 1999.

Alcuni dei clandestini erano adolescenti, che venivano da famiglie povere. I loro parenti presero in prestito denaro per mandarli all'estero, perchè gli era stato detto che in India la vita sarebbe stata molto migliore che in Tibet.

Molti di loro scappavano a Dharamsala perchè non potevano restare a casa per gli scarsi risultati scolastici o altri motivi.

Guardando tremare quei ragazzi nella fredda stagione, Gyatso sapeva che alcuni di loro non avrebbero mai più visto la loro famiglia.

In quel momento, non poteva evitare di smettere di pensare a suo padre, quello che poteva fare era pregare per lui in silenzio.

Sotto l'istruzione di Laben, Gyatso e gli altri clandestini attraversarono furtivamente il confine ed entrarono in Nepal. Il giovane lama era troppo spaventato per sapere come avrebbe attraversato il ponte che collega Cina e Nepal.

Dopo aver attraversato la frontiera, la prima fermata dei clandestini era "l'ambasciata del "governo tibetano in esilio", un edificio di tre piani a forma di gradini a Katmandu, la capitale del Nepal.

Laggiù, Gyatso e gli altri clandestini furono portati in stanze separate per rispondere ad alcune domande.

Dopo aver spiegato la sua condizione familiare e le ragioni per cui era emigrato in Nepal, a Gyatso furono chieste alcune domande "connotative".

Gli fu chiesto di come fosse orribile la vita in Cina e di elencare alcuni esempi di come gli "Han opprimessero i Tibetani".

Gyatso era confuso perchè non gli era mai capitato nella sua città natale. Non sapeva cosa doveva fare e rispose soltanto che non lo sapeva.

http://english.cntv.cn/20130125/102741.shtml
"Il popolo Han ha invaso il Tibet"
Dopo aver passato pochi giorni in Nepal, Gyatso e altri clandestini furono portati a Dharamsala, la destinazione finale.

Gyatso era scioccato dalla scena che vide quando mise piede a Dharamsala, dove i moderni palazzi residenziali, hotel e negozi sono mischiati insieme a bassifondi sporchi e fienili aperti.

La città composita che univa condizioni moderne e atmosfere fuori moda sembrava lontana dalla terra pura dove imparare il buddismo che Gyatso immaginava.

A Dharamsala, il primo passo per i clandestini era "l'ambasciata del governo tibetano in esilio in India", dove gli fu richiesto di parlare con un vecchio uomo.

La discussione non fu niente di nuovo ma sottolineava ripetutamente come "il popolo Han abbia invaso il Tibet", che confuse Gyatso che pensava che non avesse niente a che fare con lui.

Nella visione di Gyatso, l'unica ragione per cui era andato a Dharamsala era per imparare il buddismo, e sentire che "il popolo Han ha invaso il Tibet" lo fece annoiare. Tuttavia, questo tipo di discussioni, a cui hanno partecipato anche giornalisti stranieri, avvenivano ogni giorno.

All'inizio, le persone erano molto interessate alle esperienze di Gyatso e gli fecero un sacco di domande su Lhasa, sul popolo Han e sul governo tibetano. Ma si limitò a dire cose che non erano ritenute interessanti.

A Dharamsala, era molto difficile vedere il Dalai Lama, il cosidetto leader spirituale del "governo tibetano in esilio". A Gyatso fu detto che "sua santità" viaggiava sempre da un paese all'altro, ma era deluso da questo perchè non poteva capire il motivo dei suoi continui spostamenti.

Dopo, il giovane seppe che non era facile vedere il Dalai Lama anche se era a Dharamsala, chi voleva farlo doveva rispondere a molte domande e doveva essere controllato e perquisito.

Essere sospetti ed emarginati
Non molto tempo dopo l'arrivo il suo arrivo a Dharamsala, Gyatso ebbe la strana sensazione di sentirsi spiato.

Una volta, Gyatso voleva fare una foto vicino ai giardini dell'"ambasciata del governo tibetano in esilio in India". Appena si misero in posa, un uomo uscì dal palazzo e li guardò con sguardo sospettoso.

La gente a Dharamsala era diversa da quella dei suoi concittadini in Tibet. Molti giovani tibetani spesso giravano in abiti alla moda nei loro quartieri residenziali, nessuno di questi lavorava o studiava buddismo. L'unica cosa che facevano ogni giorno era oziare nelle sale da tè.

Non parlavano tibetano, e probabilmente non sapevano parlare bene inglese. Quindi, parlavano tibetano misto ad alcuni termini inglesi, ciò mise Gyatso a disagio. Alcune persone erano anche dipendenti da droghe.

Nella mente di Gyatso, la vita laggiù era lontana dalla quiete e dalla semplicità di casa che aveva conosciuto, senza preoccupazioni, studiando il buddismo al monastero di Tsangar.

I nuovi venuti come lui, si sentivano diversi, diventavano profondamente indifesi, "emarginati".

Come Gyatso, molti "emarginati" erano arrivati lì inseguendo il sogno religioso. Venivano nella città sul confine indiano trascinati dalla venerazione del buddismo e col desiderio di ottenere le più alte conquiste.

Tuttavia, questi ragazzi intrapresero percorsi diversi dopo che i loro illusori sogni religiosi furono interrotti dalla realtà.

Secondo le indagini in India divulgate dal Congresso americano, dal 1986, molti tibetani all'estero sono tornati in Cina. D'altro canto, erano ostili alla propaganda lanciata dalla cricca del Dalai Lama; inoltre non erano capaci di mantenere una vita di base nei paesi stranieri.

Ma altri come Gyatso erano troppo giovani per fare una distinzione tra giusto e sbagliato, e la saggezza datagli da Buddha era insufficiente per distinguere il bianco dal nero. Per questo, intraprese un percorso privo di umanità, il sentiero dell'autoimmolazione.

Sfortunatamente, Dharamsahala, la piccola città nell'Himachal Pradesh, quartier generale del "governo tibetano in esilio", non era il paradiso sognato da Gyatso, ma un "tumore" che diventava sempre più maligno.


Diventai uno scioperante della fame professionista
Non molto dopo il suo arrivo in India, Gyatso divenne monaco in un monastero locale.

Un giorno, vide qualcuno distribuire volantini su cui era scritto che lo sciopero per la fame per "l'indipendenza del tibetana" sarebbe iniziato nel gennaio 2000, a Delhi; chiunque fosse stato interessato avrebbe potuto parteciparvi dopo aver firmato un "giuramento". Molti dal monastero andarono a Delhi e videro il "grande mondo" gratis. Tutti seguirono l'esempio e firmarono il giuramento, Gyatso non fù l'eccezione.

A quel tempo, "sciopero della fame" era una nuova parola per Gyatso; imparò in seguito da un maestro del sutra che significa protestare senza mangiare niente per esprimere le proprie attitudini determinate. Un maestro del sutra vissuto a lungo in India non era d'accordo che Gyatso prendesse parte alla protesta, ma era riluttante di spiegargli le ragioni. Il giovane Gyatso, che era nel periodo ribelle dell'adolescenza, litigò con il maestro e decise infine di andare a Delhi.

Dopo l'arrivo a Delhi, Gyatso fu ricevuto da un uomo chiamato Lhamo Ja, che scappò in India per alcuni comportamenti illegali.

Secondo i relativi materiali accertati in seguito, Lhamo Ja, nato nella circoscrizione di Tongren, prefettura autonoma tibetana di Huangnan, fu un insegnante in una scuola di legge nel nordovest della provincia cinese del Qinghai.

Nel 1993, fu coinvolto in un procedimento penale e fuggì in India. In seguito Lhamo Ja diventò membro della cricca del Dalai Lama, e si impegnò in attività separatiste.

L'ufficio degli "scioperanti della fame" era in un edificio di due piani di una scuola locale. Gyatso non aveva mai pensato di essere l'unico partecipante, pensava invece che ci fossero molte persone coinvolte.

Dopo aver compilato un modulo e aver ricevuto una tenda e un tappeto provvisti dall'organizzatore delle manifestazioni, Gyatso partecipò ad uno sciopero della fame di 72 ore.


 
Il giovane lama ricorda di aver partecipato a tre scioperi della fame, solo la prima volta come volontario. Per "volontario" si intende senza ricompensa economica.
La seconda e la terza volta fu pagato per rimpiazzare altri partecipanti.

Subito dopo il primo sciopero della fame, Lhamo Ja si precipitò a cercare Gyatso e gli disse che doveva prendere parte al secondo sciopero perchè non c'erano abbastastanza persone disposte a partecipare. Successivamente, Gyatso ricevette 500 rupie nepalesi. La terza volta, accadde lo stesso. Allora il ragazzo capì che la maggior parte degli scioperanti era pagato.

Durante il secondo sciopero della fame, uno dei manifestanti gli disse che poteva mangiare qualcosa in segreto se non era in grado di resistere alla fame, disse anche che gli organizzatori erano favorevoli a questa pratica perchè gli avrebbe permesso di manifestare più a lungo. Gyatso era sorpreso e mangiò un pezzo di carne senza farsi vedere.

Il terzo sciopero della fame fu tenuto davanti alla tomba di Gandhi, gli avevano detto che lì molte più persone avrebbero potuto vedere la protesta. Gyatso era diventato abbastanza bravo e riuscì a mangiare una banana senza farsi vedere.

Poi, capì chiaramente che gli scioperi della fame erano un'azione fatta per essere mostrata agli estranei. Per questo erano pagati e avevano il permesso di mangiare.

Nella mente di Gyatso, questa attività era una specie di truffa. Comunque non rifiutò il compito anche se per lui costituiva un guadagno illecito.

In seguito, lesse sui giornali locali articoli relativi ai tre scioperi della fame che sostenevano che il numero di partecipanti aveva superato 600 persone. Avendo preso parte lui stesso alle manifestazioni, Gyatso sapeva chiaramente che partecipavano in meno di dieci persone alla volta.

E' cosa nota che, oltre ad instigare all'autoimmolazione e a manifestazioni di protesta, lo sciopero della fame è uno delle molti metodi del cosiddetto "governo tibetano in esilio" di accaparrarsi l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale e pubblicizzare "la questione tibetana".

Tutte le speciali organizzazioni per "l'indipendenza del Tibet" sono responsabili di organizzare agitatori professionisti, attraverso cui possono abusare della compassione del mondo che non è a conoscenza della verità, così da influenzarne l'opinione pubblica.

L'esperienza di Gyatso è solo uno dei tanti casi.

Questi tre scioperi della fame lo portarono ad abbracciare il punto di vista del "governo tibetano in esilio", trasformandolo nella "preda" che stavano cercando da molto tempo e senza risultati.

Il giovane e ignorante monaco Gyatso fu messo nelle liste dei "potenziali autoimmolatori". Dietro di lui, qualcuno stava ordendo una grande cospirazione coperta nell'ombra. Cosa lo convinse a seguirla? E come fu incitato a seguire il percorso dell'autoimmolazione? Perchè fallì le prime volte?

http://english.cntv.cn/20130122/102771.shtml
Autoimmolazione rimandata a causa degli americani
Dopo aver partecipato a tre scioperi della fame a pagamento, Gyatso si avvicinò alla "Federazione Sanqu", un organizzazione che sostiene molte attività per "l'indipendenza del Tibet". Poco dopo, un membro di questa organizzazione cominciò ad incitarlo a commettere l'autoimmolazione.

"Hai partecipato a tre scioperi della fame, non sei una persona comune. C'era un uomo che si dette fuoco, causando grande scalpore in tutto il mondo. Ora, dovremmo avviare qualcosa di simile per attirare l'attenzione del mondo. Tutti quelli che si danno fuoco diventano eroi immortali. Avresti il coraggio di autoimmolarti davanti all'ambasciata cinese in India?" Chiese Lhamo Ja a Gyatso.

Per persuadere il giovane, Lhamo Ja tenne uno speciale incontro, a cui fece partecipare molti membri della "Federazione Sanqu". Lhamo Ja disse a Gyatso: "Se dai la tua vita, il governo in esilio, il Dalai Lama e tutti i tibetani saranno fieri di te! Non avrai niente da rimpiangere se capisci che è un atto glorioso. E mi occuperò io stesso dei piani per te".

A quei tempi, Gyatso aveva una una bruttissima visione del popolo Han e del governo centrale cinese a causa del lavaggio del cervello fatto grazie ai numerosi video e libri di propaganda del Dalai Lama. In più, con l'istigazione di Lhamo Ja davanti a molte persone, Gyatso si agitò e decise di sacrificare se stesso per "la causa tibetana".

Questo, ha ricordato più tardi Gyatso, era il modo in cui i sostenitori dell'"indipendenza del Tibet" incitavano i semplici nuovi venuti. Dopo che si era vantato di poter commettere l'autoimmolazione, non poteva più tornare indietro.

Pochi giorni dopo questo incontro, Lhamo Ja disse a Gyatso di autoimmolarsi il 10 di marzo; una data scelta con attenzione. Il 10 marzo è il cosiddetto "giorno della rivolta del Tibet", ogni anno in questa ricorrenza vengono lanciate molte attività anticinesi e arrivano molti giornalisti esteri. Il Dalai Lama avrebbe anche tenuto un discorso.

Pertanto, autoimmolarsi quel giorno avrebbe significato dare una grande influenza alla "questione tibetana" e il "governo in esilio" sarebbe stato soddisfatto.

Prima dell'autoimmolazione, Lhamo Ja e altre persone registrarono un video di Gyatso, che sarebbe stato spedito alle Nazioni Unite.

Comunque, il giovane, il protagonista dell'autoimmolazione non aveva assolutamente idea di cosa fosse l'ONU, pensava genericamente a un'istituzione con grandi poteri.

Ricordò di essere stato portato in un ufficio a registrare il video; durante le riprese gli fu chiesto di leggere una dichiarazione che conteneva delle richieste compresa una che chiedeva al governo cinese di rilasciare "i prigionieri politici".

Dopo aver finito di registrare, il giovane lama andò a vivere gratuitamente in un albergo di ottimo livello, in attesa di ordini.

Il 10 marzo, Gyatso fu avvisato da un membro della "Federazione" che l'autoimmolazione era cancellata perchè nelle strade c'erano troppi poliziotti indiani che avrebbero potuto interrompere il gesto.

L'azione fu posticipata alla fine di marzo, quando sarebbe stato tenuto in India un importante incontro sui diritti umani. Prima del 25 marzo, Gyatso fece una prova sul posto.

Prima che la prova iniziasse, il ragazzo non aveva assolutamente idea riguardo al tipo di benzina da usare ne a come comportarsi. Lhamo Ja aveva redatto diversi schemi per lui e gli spiegò i dettagli specifici, come vestirsi, dove mettere la benzina e come darsi fuoco. In una parola, si erano scervellati per il successo dell'autoimmolazione.

Gyatso fu scioccato dai loro schemi dettagliati, gli sembrò che non stessero parlando di autoimmolazione, ma di un atto ordinario e quello che stavano per bruciare non era un corpo umano, ma stracci di vecchi vestiti.

Ma il giovane sapeva di aver preso un sentiero senza via d'uscita; che era troppo tardi per tornare indietro e che avrebbe subito ritorsioni se avesse rinunciato. Quindi le sue preoccupazioni crescevano via via che si avvicinava al 25 marzo. In seguito, ricevette un messaggio che diceva che l'autoimmolazione era rimandata ancora una volta perchè un leader americano era in visita in India.

Lhamo Ja disse:"Abbiamo deciso di cancellare l'autoimmolazione perchè gli Stati Uniti ci hanno dato un grande aiuto e non dobbiamo creargli nessun tipo di problema. Ma ti posso assicurare che avrai l'opportunità di contribuire alla causa dell'indipendenza. Ti prego di aspettare le mie prossime informazioni per un piano ancora più grande".

In questo modo, Gyatso fu libero ancora una volta dalla morte. I due piani falliti di autoimmolazione erano prove prima che fosse mandato in Tibet.

Da giovane monaco che voleva imparare le sacre scritture, a essere coinvolto nella propaganda per "l'indipendenza del Tibet, partecipando a scioperi della fame a pagamento, a essere un potenziale autoimmolatore. Gyatso era ignorante, non aveva il tempo, la consapevolezza di pensare alle profonde conseguenze e ragioni che erano nascoste dietro a quello che gli stava accadendo.

La sua mente semplice e i suoi impulsi sono diventati la debolezza sfruttata dall'organizzazione per "l'indipendenza del Tibet". Come altri giovani tibetani, Gyatso era un entusiasta e devoto ragazzo che non aveva ancora maturato una visione autonoma del mondo.

Essendo nato in un'area remota, era facile trapiantargli un'altra visione prima che potesse distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Tutto questo ha causato la tragedia della sua vita.

L'organizzazione per "l'indipendenza del Tibet" avrebbe lasciato stare Gyatso dopo il fallimento di due tentativi o avrebbe prodotto una cospirazione ancora più grande?

Dopo aver fallito due autoimmolazioni, Gyatso si calmò gradualmente e sviluppò una paura per il suo futuro. Tuttavia non era ancora riuscito ad uscire dalla follia che lo aveva trasformato da giovane lama a fanatico suicida che sognava di "sacrificare se stesso alla religione".

Pochi giorni dopo i due piani falliti, Lhamo Ja incontrò nuovamente Gyatso e gli disse che gli portava buone notizie, dicendogli che aveva ricevuto istruzioni di Ala Jigme, un alto funzionario del "Dusum Legong" (o il dipartimento di sicurezza del "governo tibetano in esilio"), di mandarlo in Tibet ad autoimmolarsi, così da creare maggiore influenza.

Dopo aver sentito quelle parole, Gyatso esitò ed era riluttante di tornare in Tibet dato che aveva infronto la legge per andare in India e non sapeva cosa gli sarebbe accaduto se fosse stato arrestato.

Lhamo Ja era un po' arrabbiato dall'atteggiamento. Comunque, invitò alcune personalità ad incoraggiare il giovane.

Una notte, Gyatso fu ricevuto da Kalon Pema, un alto funzionario del "Dusum Legong". Da quando era in India, era la prima volta che incontrava una personalità così importante.

A quei tempi il giovane lama era confuso e finalmente incontrò qualcuno che era determinato a sacrificarsi per sei milioni di tibetani.

Kalon Pema disse a Gyatso: "Sei stato scelto per autoimmolarti a Lhasa, una città sotto il controllo del governo centrale cinese. Quindi sarà responsabilità della Cina spiegare la tua lotta per "la causa dell'indipendenza". In questo modo avremo un'attenzione universale e il supporto della comunità internazionale. Tu diventerai un eroe e sarai ammirato dal popolo tibetano".

Kalon Pema disse inoltre che, i familiari o amici che avrebbero spedito in India le registrazioni e le fotografie della sua autoimmolazione, avrebbero avuto un trattamento preferenziale e sarebbero potuti venire all'estero per migliorare le loro condizioni di vita.

"Comunque, se sarai arrestato, non dire niente riguardo a noi o metterai in cattiva luce il governo tibetano in esilio. E non tornare indietro se non riesci a portare a termine la tua missione", disse Kalon Pema.

Gyatso si sentì molto arrabbiato per quello che gli era stato detto, perchè nella sua mente si stava sacrificando per "l'indipendenza del Tibet". Come poteva portare in cattiva luce il "governo Tibetano in esilio"?

Comunque restava dell'idea che il Dalai Lama lo appoggiasse, quindi il "governo tibetano in esilio" non lo avrebbe abbandonato. Per questo motivo obbedì all'ordine.

In linea con quanto detto nel meeting con l'alto funzionario, Gyatsto fu mandato in Nepal.

Lì ricevette circa 8000 dollari per rientrare in Tibet sotto falso nome.

Andò a Lhasa con un uomo, chiamato Thubten, che fu designato dal "Dusum Legong" per fotografare la scena dell'autoimmolazione di Gyatso.

Comunque, nonostante la scrupolosa preparazione, i due furono arrestati prima di arrivare a Lhasa. Il ragazzo fu portato alla stazione di polizia, era estremamente nervoso e non aveva con se nessun documento.

Che tipo di sanzione affronterà dopo essere l'arresto? Thubten sarà affidato alla giustizia? Gyatso, il giovane lama che aveva vagato tra la vita e la morte, non fu ne il primo nell'ultimo fanatico fuorviato i cui impulsi irrazionali erano controllati da determinate persone per determinati fini.

La domanda di come evitare ai giovani simili tragedie resta senza risposta.

Traduzione dall'inglese a cura di Andrea Parti

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